E’ una delle più note e amate fabbriche del design made in italy.

Nel suo catalogo vi sono oggetti cult, presenti nelle case di molti italiani, come la serie Girotondo firmata da Stefano Giovannoni, che ha venduto circa sette milioni di pezzi; lo spremiagrumi di Philippe Starck, diventato il simbolo del design anni ’90 e il bestseller Anna G, il cavatappi disegnato da Alessandro Mendin.
Stiamo parlando di Alessi – azienda che come poche è riuscita a entrare nell’immaginario collettivo – da sempre un vero e proprio laboratorio sperimentale. Questa forza creativa non si è stemperata nemmeno in un periodo di forti incertezze economiche come quello che stiamo vivendo. Nel 2013, Alessi ha lanciato un’iniziativa controcorrente, che non rappresenta solo un modo di valorizzare diversamente il lavoro dei dipendenti, ma anche di creare un circolo virtuoso in grado di far bene al territorio, nel far bene all’azienda. Stiamo parlando del progetto Buon Lavoro – La Fabbrica per la città in cui circa trecento dipendenti dell’impresa hanno svolto attività di utilità sociale, come alternativa alla cassa integrazione. Un esempio di welfare dal basso, basato su un patto inedito fra l’azienda e la comunità che la ospita.

Facciamo un passo indietro. La storia di Alessi si intreccia a quella di un territorio che vanta un’antica tradizione nella lavorazione del metallo, tanto da esser diventato, negli anni Novanta, il fulcro del fiorente distretto dei casalinghi e delle caffettiere. Stiamo parlando della zona di Verbano-Cusio-Ossola. Anche qui, però, il vento della crisi degli ultimi anni è soffiato pesantemente: molte aziende hanno chiuso i battenti e traslocato altrove. Alessi ha deciso, qualche anno fa, di mantenere la produzione in Italia, nello stabilimento di Crusinallo, frazione di Omegna, dove l’azienda è nata e dove tutt’oggi viene prodotto tutto il metallo stampato a freddo. Questa scelta strategica, in cui la società continua a credere nonostante la congiuntura economica negativa, comporta però la necessità di gestire i cali fisiologici di produzione, quando le commesse diminuiscono. In questi casi, il ricorso alla cassa integrazione è solitamente una scelta obbligata, ma non per Alessi che ha saputo trovare una soluzione alternativa, in chiave sociale, a questo problema di natura industriale. Nel 2013, fruttando una pausa di sette mesi dalla produzione e un momento di buona redditività, l’azienda ha pagato i propri dipendenti in esubero per svolgere lavori socialmente utili al Comune di Omegna, che si trovava a gestire un bilancio molto critico, con conseguenti tagli a molte attività straordinarie ed ordinarie, tra cui la pulizia della città. Così, due esigenze diverse – quella dell’azienda di gestire la sovracapacità produttiva e quella del comune di reperire fondi per garantire servizi – hanno trovato un punto di incontro. Il progetto, denominato Buon Lavoro, è stato accolto con grande favore: 307 dipendenti – fra operai, impiegati e dirigenti – hanno volontariamente deciso di aderire all’iniziativa, oltre l’85% del totale del personale della sede di Omegna. Per ognuno di loro, sono state destinate al progetto da 1 a 8 giornate di lavoro normalmente retribuito, per un totale di quasi 9.711 ore a disposizione della comunità locale, realizzate tra giugno e novembre del 2013. In questo modo, gli operai sono usciti dalla fabbrica per contribuire al bene comune. Un piccolo esercito di volontari si è occupato di tinteggiare i muri della scuola, di pulire i giardini e i parchi sul lungolago, di assistere, assieme ad operatori professionisti, bambini e anziani. E di costruire, in uno spazio all’interno dell’azienda, un laboratorio artigianale per i ragazzi disabili, per il quale non c’era più spazio negli uffici del comune. Tutti lavori che l’amministrazione comunale, da sola, non avrebbe potuto fare, perché le risorse economiche scarseggiavano e la coperta era sempre più corta.

Oltre al Comune di Omegna, il progetto è servito anche alla fabbrica, perché ha migliorato il clima aziendale e ha rafforzato il senso di appartenenza in un momento di difficoltà. Come già ricordato, Omegna è stata falcidiata dalla crisi degli ultimi anni: oltre a una pesante deindustrializzazione, la comunità ha vissuto una forte perdita d’identità. Grazie a questa iniziativa, si sono riscoperti l’impegno civile e il valore di lavorare per la società e per gli altri. Oltre ai dipendenti, si è mobilitata tutta la comunità: diversi cittadini hanno chiesto di poter partecipare alle iniziative, mentre altre aziende del territorio hanno messo volontariamente a disposizione alcune delle risorse (acqua, vernici) utili al progetto.

Buon lavoro – La Fabbrica per la città è anche una sintesi degli elementi che caratterizzano quel capitalismo di territorio tipicamente italiano: il mantenimento della produzione in Italia, con le difficoltà che questo comporta; il valore delle persone, che si traduce anche nel considerare il lavoro non solo come fonte di guadagno ma anche di soddisfazione; l’attenzione alla comunità. Far bene impresa vuol dire anche fare l’interesse della collettività e del territorio in cui si opera. Anche se il progetto è nato per rispondere ad un’esigenza di tipo industriale, rappresenta comunque un’evoluzione delle classiche attività di RSI verso un approccio orientato alla produzione di valore condiviso da e per tutti gli stakeholder di riferimento dell’azienda.

In un momento in cui si parla solo di crisi, quella di Alessi è una bella storia da raccontare. Buon lavoro – La Fabbrica per la città è da considerarsi un unicum, per la contingenza di fattori che ne hanno permesso la realizzazione e per lo sforzo economico, non indifferente, sostenuto dall’azienda, ma può essere uno stimolo per elaborare un nuovo modello di partnership tra pubblico e privato da replicare diversamente o altrove. Qualcosa si sta già muovendo. Una grande azienda torinese del settore metalmeccanico sta seguendo l’esempio nel suo territorio; mentre al Senato è stata depositata una proposta di legge che prevede di estendere il pluripremiato progetto Alessi ad altre località, con un contributo pubblico, ossia utilizzando parte dei soldi destinati alla cassa integrazione.