Si tratta di un concetto di pubblico più esteso che non fa riferimento allo Stato-apparato come soggetto pubblico bensì allo Stato-comunità come coalizione di soggetti animati da interessi non egoistici, appunto da scopi di pubblica utilità.

In base alla sua esperienza e alle sue competenze, come definirebbe, oggi, il concetto di “pubblica utilità”? 

Il concetto di pubblica utilità nel quadro giuridico italiano viene applicato a diversi ambiti, i quali sono indicatori dei diversi ruoli della pubblica amministrazione e sono emblematici della forma di Stato che caratterizza la nostra democrazia. Pensiamo ad esempio all’istituto dell’espropriazione per pubblica utilità. Esso permette alla pubblica amministrazione di privare un cittadino di una proprietà privata acquisendola alla mano pubblica dietro corresponsione di un indennizzo per soddisfare esigenze che la pubblica amministrazione stabilisce essere di interesse della collettività, come può avvenire nel caso dell’espropriazione di un terreno fondamentale per la costruzione di un’autostrada o altra infrastruttura pubblica. Altra importante applicazione del concetto di pubblica utilità è relativa a servizi come la distribuzione energia elettrica o acqua, i trasporti, la raccolta dei rifiuti, che possono essere appunto definiti servizi di pubblica utilità. Nelle declinazioni appena illustrate il concetto di pubblica utilità manifesta le due principali tipologie di azione della forma di Stato. Da una parte l’esercizio dell’attività autoritativa, che rappresenta il volto più noto dello Stato di comando e controllo, dall’altro l’erogazione di servizi pubblici, che rappresenta una delle principali delle manifestazioni dello Stato sociale. Oggi il concetto di pubblica utilità deve essere messo in connessione con l’emersione, o meglio riemersione, dell’interesse generale e con il generale processo di ripensamento dello Stato, anche alla luce delle molteplici esperienze di innovazione democratica, sociale, economica che si stanno diffondendo soprattutto a livello locale e urbano nei Comuni italiani. Innovazioni normative recentemente introdotte dal legislatore italiano, sia a livello costituzionale che a livello di legislazione ordinaria, come il principio di sussidiarietà orizzontale o le previsioni del nuovo Codice dei Contratti Pubblici su innovazione, baratto amministrativo o il partenariato sociale sembrano registrare questo cambio di pelle dello Stato. Il concetto di pubblica utilità deve dunque essere ripensato in chiave di interesse comune di cui sono portatori tutti gli attori di quello che ho definito come la quintupla elica dell’innovazione istituzionale. Secondo questo modello cinque diversi attori di governance (i.e. istituzioni pubbliche, istituzioni cognitive, attori economici con una visione di lungo termine, organizzazioni del terzo settore e innovatori sociali/civici) possono e devono essere i co-autori/co-produttori di politiche pubbliche. Si tratta dunque di un concetto di pubblico più esteso che non fa riferimento allo Stato-apparato come soggetto pubblico bensì allo Stato-comunità come coalizione di soggetti animati da interessi non egoistici, appunto da scopi di pubblica utilità.

 


 

Quali possono essere le caratteristiche e gli ambiti che associa all’idea di “pubblica utilità”? Quali le loro peculiarità?

È possibile rintracciare un tessuto costituzionale che contribuisce a fondare quello che è stato definito principio generale della collaborazione civica per l’interesse comune. La Corte costituzionale si è orientata in questo senso con una sentenza del 1970, relatore Costantino Mortati, sostenendo l’esistenza di un «principio generale della “collaborazione civica” in base al quale ogni cittadino è, secondo i casi, obbligato o facultato a svolgere attività richieste, con carattere di assoluta e urgente necessità, nel comune interesse, per far fronte a eventi rispetto ai quali, data la loro eccezionalità o imprevedibilità, le autorità costituite non siano in grado di intervenire con la necessaria tempestività, oppure in misura sufficiente al bisogno. Il perseguimento dell’interesse comune può essere perseguito attraverso la strutturazione di schemi di governance condivisa-collaborativa-policentrica nella forma di partenariati pubblico-comunità.


In base alla sua esperienza, ci sono settori/ambiti emergenti che possono essere oggi collegati al concetto di pubblica utilità?

Guardando alla democrazia locale e alla democrazia urbana, pensare a una forma di interesse di comunità può esser riferito alle comunità urbane che attivano forme di collaborazione civica, economia collaborativa, co-produzione di servizi di quartiere. Un altro rilevante ambito di applicazione è quello delle infrastrutture. A livello più ampio, come ho affermato in un recente scritto, questo approccio può trovare applicazione anche rispetto all’attività di soggetti come le Casse Previdenziali. Il concetto di pubblica utilità ripensato come interesse comune può inoltre essere associato a diversi ambiti di azione delle istituzioni pubbliche locali, configurando nel complesso una forma innovativa di welfare state urbano, composto dall’azione autonoma e coordinata di diversi attori.


Quali sono, secondo lei, i soggetti che si muovono nel perimetro della pubblica utilità e quale il loro ruolo? 

Come accennavo, possono essere almeno cinque i soggetti che portano avanti attività di collaborazione civica per il perseguimento dell’interesse pubblico: istituzioni pubbliche (Enti locali, Stato); istituzioni cognitive (Fondazioni culturali, scuole, Università, centri di ricerca); attori privati che svolgono attività a vocazione di territorio o attività di responsabilità sociale d’impresa per la creazione di valore condiviso, terzo settore organizzato e innovatori sociali, intendendo con questo singoli cittadini, gruppi informali, comunità urbane riunite intorno a un commons che si auto governano.


Guardando al prossimo futuro, come immagina che si evolverà l’idea di pubblica utilità? Quali dinamiche interesseranno questo ambito?

L’idea di pubblica utilità come interesse comune sarà certamente interessata da evoluzioni, alcune delle quali possono comportare delle complicazioni. Tra queste, possiamo identificare il rischio di una burocratizzazione o per meglio dire ossificazione dei processi che si verifica ogni qual volta un’innovazione viene introdotta attraverso un processo unilaterale oppure imposto senza un accompagnamento/facilitazione. La produzione di politiche pubbliche che perseguano l’interesse comune attraverso la collaborazione civica tra diversi attori deve dunque essere facilitata e accompagnata.


In base alla sua esperienza, ci racconti dei ‘casi virtuosi’ che operano negli ambiti che ha segnalato come afferenti all’idea di pubblica utilità (domanda 2)

Posso identificare diversi casi studio rilevanti nell’ambito della mia esperienza di ricerca teorica e applicata nel contesto italiano: a livello urbano, il percorso intrapreso dalla città di Bologna sulla collaborazione civica per i beni comuni urbani (www.co-bologna.it); a livello regionale, il processo avviato dalla Regione Toscana per produrre un libro verde sull’economia collaborativa (www.collaboratoscana.it); sul tema delle infrastrutture, il recente caso del Porto Turistico di Capri (http://www.labgov.it/2017/08/10/the-port-of-capri-public-private-commons-partnership/).