La questione abitativa è oggi un tema più che mai attuale.
Complice un periodo di forti squilibri nel mercato immobiliare ed una serie di altri fattori legati alla crisi economica, si è assistito ad una progressiva estensione della vulnerabilità abitativa anche a fasce di popolazione tradizionalmente non toccate da questo tipo di problemi, sia in forma temporanea che prolungata nel tempo. Si tratta dei cosiddetti outsiders, persone che hanno redditi troppo alti per accedere all’edilizia popolare ma insufficienti per ricorrere al mercato privato. Non a caso, nel corso degli ultimi dieci anni, il tema dell’housing sociale è diventato terreno fertile per la sperimentazione di nuovi modelli di governance che vedono un maggiore coinvolgimento di soggetti eterogenei – provenienti dal settore privato, dal Terzo settore e dal mondo delle Fondazioni – nella produzione di interventi residenziali per categorie sociali deboli o altre fasce di popolazione con disponibilità economiche maggiori. Questi nuovi attori sostituiscono o affiancano lo Stato sia nel finanziamento che nella gestione di diverse iniziative. Un esempio è Via Padova 36, un progetto di housing sociale realizzato attraverso il recupero e la valorizzazione di uno stabile d’epoca abitato, situato nel cuore del quartiere di Via Padova, a Milano. All’origine di Via Padova 36 c’è una vera e propria joint-venture di territorio. Il progetto rappresenta infatti lo sviluppo di Maisondumonde36, iniziativa ideata e avviata nel 2011 da Fondazione Cariplo, in collaborazione con Fondazione Housing Sociale e realizzata dal Fondo Immobiliare di Lombardia – Comparto Uno, il primo fondo etico italiano dedicato al social housing, gestito da Polaris Real Estate Sgr Spa. Un ulteriore finanziamento è arrivato dalla Regione Lombardia per la realizzazione di 15 appartamenti destinati a famiglie italiane e straniere che non riescono ad accedere agli alloggi a prezzi di mercato. Dalla fine del 2013, è entrata a far parte della squadra anche Abitare Sociale Metropolitano – un’impresa sociale costituita da un insieme di consorzi e cooperative – che ora gestisce l’intero edificio, oltre ad essere proprietaria di due unità commerciali e dei corpi scala C e D dello stabile. Quello di via Padova è quindi un modello di governance ibrida, in cui soggetti differenti, pubblici e privati, cooperano e producono servizi, suddividendo utili e oneri e sostituendo la precedente logica top-down con quella del networking. In questa rete, la cooperazione sociale e i consorzi, grazie al radicamento di cui godono sul territorio, svolgono un ruolo di sostegno e infrastruttura, mentre il pubblico, senza perdere la propria identità, regola e facilita il processo decisionale tra i diversi attori privati. Si supera così la logica dell’edilizia residenziale pubblica, in cui lo Stato gestisce in modo quasi esclusivo l’offerta di alloggi popolari, per passare ad un approccio multi-stakeholder in cui l’ente locale promuove gli interventi abitativi, delegando al mercato privato una parte del finanziamento e al Terzo settore la gestione degli aspetti sociali .